La tecnologia, è indiscutibile, semplifica la vita. Eppure, se compriamo uno stereo, un televisore o un qualunque elettrodomestico, ci ritroviamo tra le mani un libretto d’istruzioni sempre più voluminoso. Siamo al paradosso che, nell’acquistare un telefono cellulare, il relativo libretto delle istruzioni pesa più dell’oggetto. Sarebbe opportuno mandarlo a memoria.
Già, la nostra memoria: ci hanno mai dato le istruzioni per il suo uso? Molti di noi avranno fatto la stessa esperienza: nei primi anni di scuola ci hanno detto di leggere e ripetere ad alta voce (magari per memorizzare la poesia di Natale da recitare di fronte alla famiglia, commossa ed emozionata dalla nostra prima impresa).
I limiti di questo sistema diventano evidenti negli anni successivi, quan,do bisognerà imparare ben altro che una semplice poesiola, o quando, nella vita di tutti i giorni, cominceremo a dimenticare numeri telefonici, nomi di persone, appuntamenti, codici del bancomat… Ma nessuno si prenderà più la briga di spiegarci come usare al meglio la potentissima memoria di cui la natura ci ha fornito.
Perché succede questo? Innanzi tutto, per una demonizzazione dell’apprendimento mnemonico, che si è confuso troppo spesso con il nozionismo. È pienamente da condividere l’avversione contro il nozionismo: davvero non ha alcun senso memorizzare una poesia senza capirne il significato, oppure ridurre la geografia ad un puro elenco di nomi invece che ad uno strumento di conoscenza dei popoli. Ma non per questo va trascurata l’importanza della memoria.
Viene da sorridere quando si sente dire, o si legge, di “non imparare a memoria”: in realtà, sarebbe più giusto dire di non imparare “a pappagallo”, perché – pensateci – se non ricordassimo a memoria come s’indossa un vestito, come si porta il cibo alla bocca, qual è la strada per tornare a casa e altre banalità simili, la nostra vita sarebbe impossibile. Le stesse parole che sto usando, se non ricordaste a memoria il loro significato, sarebbero solo un’accozzaglia di segni senza senso.
Un altro motivo per il quale non ci si cura troppo del nostro sviluppo mnemonico nasce dall’errata convinzione che si nasca o con la (grande) fortuna di avere una buona memoria o, viceversa, con la (più comune) sfortuna di averne una cattiva. Signori, vi annuncio una gran bella notizia: non esistono buone o cattive memorie, ma solo memorie usate bene e memorie usate male.
Tutte le indagini effettuate sulla nostra memoria concordano su un punto, e cioè che, contrariamente all’opinione diffusa, essa non ha praticamente limiti. Qualcuno si è addirittura spinto a sostenere che, se noi memorizzassimo dieci informazioni al secondo per tutte le ventiquattro ore del giorno e per settantacinque anni, senza sosta, avremmo usato solo la metà della capacità della nostra memoria.
Ciò è molto bello e vicino al vero, ma è fuorviante, perché alimenta un altro equivoco molto diffuso, quello di considerare la nostra memoria come un puro contenitore, una specie di enorme agenda o dvd. Un limite di questa concezione è considerare la memoria un “luogo” che, per quanto enorme, prima o poi raggiunge la saturazione; un altro limite è paragonare la memorizzazione alla stregua di una pura e semplice “archiviazione” di un dato, esattamente come si fa quando si sistemano i libri di una biblioteca nei vari scaffali.
In realtà, la memoria non è un luogo, ma un processo, ed è un processo dinamico e articolato: i “libri” dei nostri ricordi non restano sempre sullo stesso scaffale, e inoltre interagiscono con i nuovi “libri” in entrata. E per di più, le capacità di ritenzione di un tale processo sono pressoché illimitate. Gli esperti paragonano, con una felice immagine, la memoria ad un albero che fa spuntare rametti ai quali si appendono i ricordi. E quanto più si utilizza la memoria (nel modo giusto), tanto più facile diventa ricordare nuove informazioni: infatti, più si usa la memoria, più spuntano rametti, e poiché ce ne sono tanti, è più facile “appenderci” le nuove informazioni, scegliendo i migliori.
Ma qual è il modo giusto di usare la nostra memoria? Più delle parole, meglio un esempio. Se vi dicessi di ricordare “poltrona”, ricordereste solo la parola, come un puro suono e basta, o quasi automaticamente visualizzereste anche l’immagine di una “poltrona”? Se vi chiedessi di descrivere la vostra casa, rispondereste “automaticamente” o prima ne visualizzereste l’immagine per poi poterla descrivere? Pensate alle “campane di una chiesa”: ne sentite solo il suono, o ne “vedete” pure l’immagine? Ecco svelato il segreto: la nostra memoria funziona – fondamentalmente – per immagini. È dimostrato che la stragrande maggioranza (più dell’ottanta per cento) di ciò che ricordiamo è dovuto alla memoria visiva. Il problema è che questo enorme potenziale viene da noi usato in maniera inconsapevole, “in automatico” per intenderci, col risultato che a volte funziona, molte volte invece no.
Molti dicono che la differenza sta nell’attenzione. Se sto attento ricordo, altrimenti no. È un fenomeno che tutti noi sperimentiamo: ricordiamo meglio ciò che colpisce la nostra attenzione, per esempio qualcosa che ci interessa o che ci piace molto. Tipico il caso dello studente che fatica a ricordare le più semplici nozioni di matematica, ma che il lunedì ricorda perfettamente i risultati del campionato di calcio, e magari anche chi ha segnato gol e a quale minuto.
Ma la nostra attenzione viene anche attirata da una cosa insolita, strana, vistosa, fuori del comune, buffa, divertente, se non addirittura illogica e assurda. Se (e sottolineo se) attraversando la strada venissimo quasi investiti da un motorino guidato da un grosso cane, magari con tanto di casco, inseguito da una scimmia che gli corre dietro tenendo un grosso bastone, non faremmo alcuna fatica a ricordare questa scena, vero?
E quanto durerebbe un tale ricordo, se non tutta la vita? Eppure – e questa è un’osservazione molto importante – la scena è durata pochi istanti: dove finisce, allora, un’altra radicata convinzione, e cioè che per ricordare una cosa bisogna ripeterla più e più volte? In realtà, se opportunamente stimolata, la memoria funziona “al primo colpo”. E il ricordo generato può durare tutta la vita.
Ma attenzione, interesse, piacere sono solo facce diverse di ciò che chiamiamo, più in generale, emozioni. È l’emozione il collante della memoria. Per questo motivo, lo scopo del nostro corso è proprio insegnarvi a mettere in pratica quanto finora illustrato, e in particolare ad usare in maniera consapevole lo strumento della visualizzazione, per attivare a nostro volere l’attenzione e quindi la memoria (per questo motivo parleremo di visualizzazione attiva).
A tal proposito, il nostro docente Rosario Prestieri, usa sempre una frase: “Io non vi insegnerò solo le tecniche di memoria, potreste trovarle facilmente in un buon ebook o in un buon libro, pagando pochi euro. Lo scopo delle mie lezioni è insegnarvi come far funzionare – e bene – quelle tecniche. E questo, nei libri, non lo trovate!”